VASCO ROSSI BAND
Tre chitarre e un basso fra vecchio e nuovo rock
CHITARRE dicembre 1993

di Andrea carpi
Foto di Roberto Villani
 

 

 

MAURZIO SOLIERI
Come ti sei trovato in questa nuova formazione della band di Vasco?
Cosa ha portato di nuovo nel tuo modo di lavorare, quali frutti, quali difficoltà?

Per rispondere dovrei fare un piccolo passo indietro: dopo la tournée per l'album Sono donne della Steve Rogers Band nell'estate del '90, nonostante amassi molto la Band e mi trovassi molto bene con loro, mi son sentito costretto - per colpa dei discografici - a cercare di tornate verso lidi a me più consoni. In altri termini mi guardavo allo specchio e dicevo: "Insomma, sei un musicista con un certo nome, sempre presente ai primi posti nei referendum delle riviste musicali, e alla fine ti ritrovi a suonare in circuiti di feste di piazza." Il che per certi versi potrebbe anche andare bene; ma senza un supporto adeguato da parte della casa discografica, rischia di diventare molto frustrante. Del resto sul piano musicale, e non solo su questo a quanto pare, l'Italia sta andando veramente a catafascio: non perchè non ci siano bravi musicisti o manchino proposte interessanti, ma perché mancano le strutture, i discografici sono dei dipendenti di grandi multinazionali e si trovano sempre meno produttori e direttori artistici che prendano l'iniziativa di realizzare cose nuove, di qualità. Cosicché; incontrando casualmente Vasco in una discoteca, ho avuto con lui una conversazione molto informale: gli ho detto che ero insoddisfatto e dopo aver saputo che stava preparando una tournée all'estero - un'esperienza alla quale tenevo moltissimo - ho deciso di tornare a lavorare con lui, trovando una situazione molto cambiata rispetto a quella che avevo lasciato nell'88: era arrivato Braido, c'era stato Paul Martinez al basso, c'era stato Alberto Rocchetti alle tastiere e gli arrangiamenti dei pezzi erano stati completamente modificati. Ti confesso che ho fatto fatica a reinserirmi, perché ero ancora legato alle vecchie cose. Poi c'è stato il nuovo disco, Gli spari sopra, realizzato con l'ausilio di musicisti stranieri: anch'io vi ho partecipato, ma il mio apporto è stato molto limitato. E ti dico francamente che le parti incise da Steve Farris avrei potuto suonarle in tutta tranquillità anch'io. Però evidentemente, dopo anni di successi e di stadi stracolmi, Vasco ha avvertito l'esigenza di rendere più spettacolare e intemazionale il suo lavoro. Anche dal vivo si è quindi cercato di eseguire i pezzi dell'album - tutti realizzati con arrangiamenti ricchi, ricami e sovraincisioni di chitarre a non finire - nel modo il più possibile vicino all'originale, chiaramente nei limiti del consentito. Per ottenere questo, l'idea è stata di mettere insieme il vecchio con il nuovo: io, in quanto personaggio storico dell'intero progetto, e Andrea Braido in quanto chitarrista dotato di una tecnica prodigiosa, che aveva svolto un ruolo anch'esso importante nella carriera di Vasco, ovvero l'ingresso nei grandi stadi.
L'insieme doveva creare un momento di grande spettacolarità, il che in fin dei conti si è verificato: la tournée è stata difatti l'unica di successo del'93.
Chiaramente i problemi non sono mancati, anzitutto perché è evidente che siamo due chitarristi completamente diversi: io ho quarant'anni e lui ne ha ventotto; io sono uno che nasce come autodidatta, che al massimo ha studiato col maestro di banda del proprio paese, che è cresciuto con i Beatles e i Rolling Stones, con il blues, Eric Clapton, Jimmy Page, Jimi Hendrix e tutte quelle cose, anche se poi non sono un nostalgico e ascolto di tutto, mi aggiorno e compro sempre nuovi dischi; Andrea invece è il classico studioso: una persona che studia come minimo quattro-cinque ore al giorno passando dalla chitarra spagnola alla chitarra jazz, dalla chitarra hard a quella fusion. Io, a dirti il vero, studio pochissimo: ogni tanto mi alleno un po', ma soprattutto il mio studio consiste nel trovare nuovi riffs o nuovi licks per creare nuovi pezzi; cioè a me interessa comporre piuttosto che eseguire delle scale misolidie, che poi non so nemmeno cosa siano.
Inoltre il problema è stato anche di far convivere due personaggi dotati entrambi di una forte personalità, e perciò capaci di caratterizzare fortemente ogni singolo passaggio. Quanto a Nando, il terzo chitarrista, è stato chiamato per sopperire alle parti di ritmica che Andrea ed io non potevamo fare, per rinforzare l'impatto del set acustico previsto nello spettacolo, e per contribuire ai cori in quanto ottimo cantante.
Il tuo rapporto con Braido riflette in fondo una più generale diversità tra un rock tipico degli anni sessanta-settanta, espressione spontanea di un movimento culturale complessivo, e il nuovo rock chitarristico, espressione di un professionismo musicale cresciuto tra i banchi della Berklee School o del Musicians Institute...
Alla base vi è certamente un fatto generazionale: quando ho cominciato a suonare io, non c'era nessuna fonte di informazione e ci si inventava tutto. La prima volta, mi ricordo di aver collegato una chitarra acustica con un pickup alla radio. I mitici amplificatori Marshall, gli wha-wha Vox, tutti questi apparecchi arrivavano filtrati da notizie alla lontana, anche perchè in Italia era difficile trovarli, costavano l'ira di dio e non potevamo permetterceli. Adesso è tutto più facile: un ragazzo di tredici anni compra la videocassetta di Paul Gilbert e apprende la sua tecnica. Manca, in tutto questo, la fantasia: io ho imparato a suonare soprattutto facendo librare la mia fantasia, per esempio non copiando mai gli assoli, mentre adesso c'è il culto della ripetizione nota per nota.
Anche quando ascoltavo i primi pezzi dei Cream, l'assolo di chitarra non lo facevo identico al disco: grossomodo lo facevo uguale all'inizioe alla fine, ma nella parte centrale me lo gestivo per conto mio, come d'altronde continuo a fare adesso. I musicisti che amo di più hanno anche un certo appeal, un modo particolare di presentarsi: penso a Joe Perry degli Aerosmith o a Keith Richards, a Pete Townshend o a Gary Moore, a Van Halen o a Steve Vai.
Insomma mi piacciono quelle figure che uniscono la bravura a una sorta di "calata" geniale, a una grande fantasia.
Nella maggior parte dei casi, il mio impegno di studio consiste nel tradurre dei fraseggi dalla mia testa alle mani: me li canto e me li imparo, senza guardare le intavolature. Quello che mi interessa soprattutto è comporre canzoni: la mia grande soddisfazione consiste in fondo nell'aver scritto delle belle canzoni per Vasco, ed è questo che vorrei fare sempre di più in futuro, per lui e per altri artisti, così come desidero fare il produttore, l'arrangiatore, cercare di dare nuovi impulsi a questo asfittico mondo discografico italiano.
Noi di Chitarre abbiamo scelto dal canto nostro di costruire una
forma di giornalismo musicale di tipo "tecnico", con il contributo di professionisti che conoscono la teoria e la pratica della musica, anche se in un certo senso la maggior parte di noi provengono da una formazione tipica degli anni settanta, da "scuola popolare". Tuttavia non siamo esenti dai rischi che un certo "tecnicismo" recente porta con sè: secondo te, che del resto hai iniziato la tua attività come disc-jockey, quale dovrebbe essere il ruolo di un'informazione musicale corretta?

La tecnica è comunque molto importante ed è anche molto utile che, quando escono i dischi dei chitarristi più amati dal pubblico, si dia la possibilità ai lettori di conoscere le tecniche adottate, purchè tutto questo non si esaurisca appunto in una forma di puro tecnicismo. E qui devo fare una precisazione: non mi sembra un caso che negli ultimi tempi si stia tornando alle cose più semplici, che fortunatamente si stiano abbandonando i rack di effetti formato frigrifero: se leggi le interviste ai più famosi artisti americani, ti accorgi che tutti sono tornati ai vecchi Marshall, agli strumenti vintage, alla Gibson Les Paul, alla Fender Stratocaster. A mio avviso bisognerebbe cercare di non proporre soltanto della didattica, ma anche della cultura musicale, lasciando che i ragazzini lavorino pure con la fantasia. Per esempio io ho la mia strumentazione sempre in ordine: le cose che devono essere digitali non mi mancano, quelle analogiche nemmeno; però quando qualcuno viene da me e mi dice "Cavolo, come fai a fare quelle cose li, ad avere un suono così?" non posso certo rispondergli che ho fatto uno string skipping oppure un triple tapping: io suono a istinto, il che non implica che non ci rifletta, che non prepari delle cose prima. Tuttavia non rinuncio mai a tenere allenata la fantasia.
Hai toccato anche la questione cruciale della strumentazione. Ecco, molti ragazzi aspirano a comprarsi lo stesso strumento usato dal proprio beniamino, immaginando così di poter riprodurre fedelmente le sonorità di quest'ultimo: secondo te quali sono gli aspetti veramente determinanti da tenere presenti, quando ci si costruisce una strumentazione?
La cosa più importante è identificare il genere musicale che si vuole suonare: ti dirò sinceramente che non lesino stima a quelli che desiderano suonare un po' di tutto, ma sono dell'avviso che si può suonar bene un solo genere, col feeling "giusto" e con l'intenzione "giusta", Braido a mio avviso è eccezionale soprattutto quando suona la fusion; chiaramente è bravo anche a suonare il rock, però si sente che predilige delle cose più complesse armonicamente. Io invece sono un chitarrista obbligatoriamente rock: mi piacciono i "riffettoni" alla Rod Stewart, per intenderci. Poi, una volta identificato il genere che si vuol suonare, si può vedere se è il caso di utilizzare una strumentazione più semplice o più composita. Inoltre, se suoni in trio puoi anche usare sistemi sofisticati con tanto di preamplificatori, finali di potenza, effetti digitali e le due casse in stereo, tutto bello pulitino; altrimenti puoi andare direttamente sul vecchio Marshall, magari modificato per ottenere dei suoni più belli. Attualmente sto lavorando in studio, e tutta la mia strumentazione si trova chiaramente nei Tir della toumée: ecco, a casa ho ripescato un Marshall da 50 watt e un vecchio overdrive Boss a pedale, che non usavo più da dieci anni e che suona ancora benissimo. Alla fine, non dimentichiamolo, il suono te lo dà soprattutto la mano: con le stesse regolazioni di base, te ed io avremmo comunque un suono diverso.
Stasera mi ha sorpreso in particolare il suono delle chitarre acustiche, che mi è parso ottimo malgrado il tristemente noto "rimbombo" del Palaeur di Roma.
Personalmente ho usato una Landola modello jumbo, di liuteria norvegese, con un trasduttore Fishman, Questa chitarra è stata per me una scoperta e mi è stata consigliata dalla ditta importatrice Meazzi, con cui ho un rapporto di collaborazione; la Meazzi mi ha sempre fornito dell'ottimo materiale, come anche le due elettriche Hamer da me utilizzate nella tournée: la sei corde nera e la doppio manico a sei e dodici corde. Nell'album c'è stato un uso frequente di dodici corde, per cui anche dal vivo mi è capitato di dover passare con velocità da arpeggi puliti con la dodici corde a suoni magari distorti con la sei.