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MAURZIO
SOLIERI
Come ti sei trovato in questa nuova formazione
della band di Vasco?
Cosa ha portato di nuovo nel tuo modo di lavorare, quali frutti, quali
difficoltà?
Per rispondere dovrei fare un piccolo passo indietro: dopo la tournée
per l'album Sono donne della Steve Rogers Band nell'estate del '90, nonostante
amassi molto la Band e mi trovassi molto bene con loro, mi son sentito
costretto - per colpa dei discografici - a cercare di tornate verso lidi
a me più consoni. In altri termini mi guardavo allo specchio e
dicevo: "Insomma, sei un musicista con un certo nome, sempre presente
ai primi posti nei referendum delle riviste musicali, e alla fine ti ritrovi
a suonare in circuiti di feste di piazza." Il che per certi versi potrebbe
anche andare bene; ma senza un supporto adeguato da parte della casa discografica,
rischia di diventare molto frustrante. Del resto sul piano musicale, e
non solo su questo a quanto pare, l'Italia sta andando veramente a catafascio:
non perchè non ci siano bravi musicisti o manchino proposte interessanti,
ma perché mancano le strutture, i discografici sono dei dipendenti
di grandi multinazionali e si trovano sempre meno produttori e direttori
artistici che prendano l'iniziativa di realizzare cose nuove, di qualità.
Cosicché; incontrando casualmente Vasco in una discoteca, ho avuto
con lui una conversazione molto informale: gli ho detto che ero insoddisfatto
e dopo aver saputo che stava preparando una tournée all'estero
- un'esperienza alla quale tenevo moltissimo - ho deciso di tornare a
lavorare con lui, trovando una situazione molto cambiata rispetto a quella
che avevo lasciato nell'88: era arrivato Braido, c'era stato Paul Martinez
al basso, c'era stato Alberto Rocchetti alle tastiere e gli arrangiamenti
dei pezzi erano stati completamente modificati. Ti confesso che ho fatto
fatica a reinserirmi, perché ero ancora legato alle vecchie cose.
Poi c'è stato il nuovo disco, Gli spari sopra, realizzato con l'ausilio
di musicisti stranieri: anch'io vi ho partecipato, ma il mio apporto è
stato molto limitato. E ti dico francamente che le parti incise da Steve
Farris avrei potuto suonarle in tutta tranquillità anch'io. Però
evidentemente, dopo anni di successi e di stadi stracolmi, Vasco ha avvertito
l'esigenza di rendere più spettacolare e intemazionale il suo lavoro.
Anche dal vivo si è quindi cercato di eseguire i pezzi dell'album
- tutti realizzati con arrangiamenti ricchi, ricami e sovraincisioni di
chitarre a non finire - nel modo il più possibile vicino all'originale,
chiaramente nei limiti del consentito. Per ottenere questo, l'idea è
stata di mettere insieme il vecchio con il nuovo: io, in quanto personaggio
storico dell'intero progetto, e Andrea Braido in quanto chitarrista dotato
di una tecnica prodigiosa, che aveva svolto un ruolo anch'esso importante
nella carriera di Vasco, ovvero l'ingresso nei grandi stadi.
L'insieme doveva creare un momento di grande spettacolarità, il
che in fin dei conti si è verificato: la tournée è
stata difatti l'unica di successo del'93.
Chiaramente i problemi non sono mancati, anzitutto perché è
evidente che siamo due chitarristi completamente diversi: io ho quarant'anni
e lui ne ha ventotto; io sono uno che nasce come autodidatta, che al massimo
ha studiato col maestro di banda del proprio paese, che è cresciuto
con i Beatles e i Rolling Stones, con il blues, Eric Clapton, Jimmy Page,
Jimi Hendrix e tutte quelle cose, anche se poi non sono un nostalgico
e ascolto di tutto, mi aggiorno e compro sempre nuovi dischi; Andrea invece
è il classico studioso: una persona che studia come minimo quattro-cinque
ore al giorno passando dalla chitarra spagnola alla chitarra jazz, dalla
chitarra hard a quella fusion. Io, a dirti il vero, studio pochissimo:
ogni tanto mi alleno un po', ma soprattutto il mio studio consiste nel
trovare nuovi riffs o nuovi licks per creare nuovi pezzi; cioè
a me interessa comporre piuttosto che eseguire delle scale misolidie,
che poi non so nemmeno cosa siano.
Inoltre il problema è stato anche di far convivere due personaggi
dotati entrambi di una forte personalità, e perciò capaci
di caratterizzare fortemente ogni singolo passaggio. Quanto a Nando, il
terzo chitarrista, è stato chiamato per sopperire alle parti di
ritmica che Andrea ed io non potevamo fare, per rinforzare l'impatto del
set acustico previsto nello spettacolo, e per contribuire ai cori in quanto
ottimo cantante.
Il
tuo rapporto con Braido riflette in fondo una più generale diversità
tra un rock tipico degli anni sessanta-settanta, espressione spontanea
di un movimento culturale complessivo, e il nuovo rock chitarristico,
espressione di un professionismo musicale cresciuto tra i banchi della
Berklee School o del Musicians Institute...
Alla base vi è certamente un fatto generazionale: quando ho cominciato
a suonare io, non c'era nessuna fonte di informazione e ci si inventava
tutto. La prima volta, mi ricordo di aver collegato una chitarra acustica
con un pickup alla radio. I mitici amplificatori Marshall, gli wha-wha
Vox, tutti questi apparecchi arrivavano filtrati da notizie alla lontana,
anche perchè in Italia era difficile trovarli, costavano l'ira
di dio e non potevamo permetterceli. Adesso è tutto più
facile: un ragazzo di tredici anni compra la videocassetta di Paul Gilbert
e apprende la sua tecnica. Manca, in tutto questo, la fantasia: io ho
imparato a suonare soprattutto facendo librare la mia fantasia, per esempio
non copiando mai gli assoli, mentre adesso c'è il culto della ripetizione
nota per nota.
Anche quando ascoltavo i primi pezzi dei Cream, l'assolo di chitarra non
lo facevo identico al disco: grossomodo lo facevo uguale all'inizioe alla
fine, ma nella parte centrale me lo gestivo per conto mio, come d'altronde
continuo a fare adesso. I musicisti che amo di più hanno anche
un certo appeal, un modo particolare di presentarsi: penso a Joe Perry
degli Aerosmith o a Keith Richards, a Pete Townshend o a Gary Moore, a
Van Halen o a Steve Vai.
Insomma mi piacciono quelle figure che uniscono la bravura a una sorta
di "calata" geniale, a una grande fantasia.
Nella maggior parte dei casi, il mio impegno di studio consiste nel tradurre
dei fraseggi dalla mia testa alle mani: me li canto e me li imparo, senza
guardare le intavolature. Quello che mi interessa soprattutto è
comporre canzoni: la mia grande soddisfazione consiste in fondo nell'aver
scritto delle belle canzoni per Vasco, ed è questo che vorrei fare
sempre di più in futuro, per lui e per altri artisti, così
come desidero fare il produttore, l'arrangiatore, cercare di dare nuovi
impulsi a questo asfittico mondo discografico italiano.
Noi
di Chitarre abbiamo scelto
dal canto nostro di costruire una
forma di giornalismo musicale di tipo "tecnico", con il contributo di
professionisti che conoscono la teoria e la pratica della musica, anche
se in un certo senso la maggior parte di noi provengono da una formazione
tipica degli anni settanta, da "scuola popolare". Tuttavia non siamo esenti
dai rischi che un certo "tecnicismo" recente porta con sè: secondo
te, che del resto hai iniziato la tua attività come disc-jockey,
quale dovrebbe essere il ruolo di un'informazione musicale corretta?
La tecnica è comunque molto importante ed è anche molto
utile che, quando escono i dischi dei chitarristi più amati dal
pubblico, si dia la possibilità ai lettori di conoscere le tecniche
adottate, purchè tutto questo non si esaurisca appunto in una forma
di puro tecnicismo. E qui devo fare una precisazione: non mi sembra un
caso che negli ultimi tempi si stia tornando alle cose più semplici,
che fortunatamente si stiano abbandonando i rack di effetti formato frigrifero:
se leggi le interviste ai più famosi artisti americani, ti accorgi
che tutti sono tornati ai vecchi Marshall, agli strumenti vintage, alla
Gibson Les Paul, alla Fender Stratocaster. A mio avviso bisognerebbe cercare
di non proporre soltanto della didattica, ma anche della cultura musicale,
lasciando che i ragazzini lavorino pure con la fantasia. Per esempio io
ho la mia strumentazione sempre in ordine: le cose che devono essere digitali
non mi mancano, quelle analogiche nemmeno; però quando qualcuno
viene da me e mi dice "Cavolo, come fai a fare quelle cose li, ad avere
un suono così?" non posso certo rispondergli che ho fatto uno string
skipping oppure un triple tapping: io suono a istinto, il che non implica
che non ci rifletta, che non prepari delle cose prima. Tuttavia non rinuncio
mai a tenere allenata la fantasia.
Hai
toccato anche la questione cruciale della strumentazione. Ecco, molti
ragazzi aspirano a comprarsi lo stesso strumento usato dal proprio beniamino,
immaginando così di poter riprodurre fedelmente le sonorità
di quest'ultimo: secondo te quali sono gli aspetti veramente determinanti
da tenere presenti, quando ci si costruisce una strumentazione?
La cosa più importante è identificare il genere musicale
che si vuole suonare: ti dirò sinceramente che non lesino stima
a quelli che desiderano suonare un po' di tutto, ma sono dell'avviso che
si può suonar bene un solo genere, col feeling "giusto" e con l'intenzione
"giusta", Braido a mio avviso è eccezionale soprattutto quando
suona la fusion; chiaramente è bravo anche a suonare il rock, però
si sente che predilige delle cose più complesse armonicamente.
Io invece sono un chitarrista obbligatoriamente rock: mi piacciono i "riffettoni"
alla Rod Stewart, per intenderci. Poi, una volta identificato il genere
che si vuol suonare, si può vedere se è il caso di utilizzare
una strumentazione più semplice o più composita. Inoltre,
se suoni in trio puoi anche usare sistemi sofisticati con tanto di preamplificatori,
finali di potenza, effetti digitali e le due casse in stereo, tutto bello
pulitino; altrimenti puoi andare direttamente sul vecchio Marshall, magari
modificato per ottenere dei suoni più belli. Attualmente sto lavorando
in studio, e tutta la mia strumentazione si trova chiaramente nei Tir
della toumée: ecco, a casa ho ripescato un Marshall da 50 watt
e un vecchio overdrive Boss a pedale, che non usavo più da dieci
anni e che suona ancora benissimo. Alla fine, non dimentichiamolo, il
suono te lo dà soprattutto la mano: con le stesse regolazioni di
base, te ed io avremmo comunque un suono diverso.
Stasera
mi ha sorpreso in particolare il suono delle chitarre acustiche, che mi
è parso ottimo malgrado il tristemente noto "rimbombo" del Palaeur
di Roma.
Personalmente ho usato una Landola modello jumbo, di liuteria norvegese,
con un trasduttore Fishman, Questa chitarra è stata per me una
scoperta e mi è stata consigliata dalla ditta importatrice Meazzi,
con cui ho un rapporto di collaborazione; la Meazzi mi ha sempre fornito
dell'ottimo materiale, come anche le due elettriche Hamer da me utilizzate
nella tournée: la sei corde nera e la doppio manico a sei e dodici
corde. Nell'album c'è stato un uso frequente di dodici corde, per
cui anche dal vivo mi è capitato di dover passare con velocità
da arpeggi puliti con la dodici corde a suoni magari distorti con la sei.
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